Il Parmigiano Reggiano DOP è uno dei prodotti di eccellenza del territorio italiano ed è molto apprezzato in tutto il mondo.

Quando siamo in viaggio, lontano dall’Italia, siamo sempre molto felici di trovare il Parmigiano Reggiano, perché mangiarlo ci fa sentire un po’ a casa.

Visto che ci troviamo nei dintorni di Parma non potevamo non visitare il Museo del Parmigiano Reggiano a Soragna e scoprire come, da secoli, si produce uno dei formaggi che più amiamo.

“Et eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva.” Decamerone – Boccaccio

Il nostro desiderio di scoperta del territorio parmigiano, dopo aver visitato il Museo del Culatello a Zibello, ci ha condotto a Soragna per visitare il Museo del Parmigiano Reggiano.

Il museo si trova nel complesso Castellazzi, che si trova in prossimità del muro di cinta del parco della Rocca di Soragna, a cui si accede attraverso un cancello.

La Rocca Meli Lupi di Soragna è una dimora storica che venne edificata nell’alto medioevo e rimaneggiata nel XIV secolo.

Quando siamo arrivati la nostra guida ci stava già aspettando nel cortile.

La nostra visita inizia proprio da qui, da dove è possibile ammirare tutto il complesso Castellazzi, una struttura che risale al XVIII secolo e racchiude al suo interno la stalla, il fienile e l’antico caseificio a pianta circolare; quest’ultimo ospita l’esposizione museale.

Il Percorso Museale del Museo del Parmigiano Reggiano

La visita al Museo del Parmigiano Reggiano non solo consente di scoprire il processo di produzione del parmigiano, ma è una vera full immersion nella storia e nella cultura contadina, con le sue tradizioni e la sua operosità.

Nel museo sono esposti oltre 120 oggetti che risalgono al XVIII e XIX secolo e molte immagini, fotografie e disegni d’epoca, che raccontano tutti i passaggi della produzione del Parmigiano Reggiano nel corso dei secoli.

Le tappe del percorso di visita e le sale del Museo del Parmigiano Reggiano:

L’antico caseificio, sede del Museo del Parmigiano Reggiano, e la sua struttura

L’antico caseificio, insieme alla camera del latte e al locale della salamoia, è il luogo dove si trova l’esposizione del Museo del Parmigiano Reggiano.

La struttura dell’antico caseificio ci piace moltissimo, è a pianta circolare, sembra quasi un piccolo tempio giapponese o cinese.

Ci spiegano che, in passato, i caseifici del parmigiano erano solitamente a pianta quadrata o rettangolare e avevano delle aperture, simili a finestre, con delle grate e, tutto intorno, avevano un colonnato esterno con un tetto dove il casaro poteva custodire la legna e altri oggetti; mentre i caseifici del reggiano erano a pianta ottagonale e, anziché le grate, le finestre avevano una struttura in mattoni che lasciava passare l’aria e non presentavano il colonnato esterno.

Questo caseificio a pianta circolare è unico, non ne esistono altri con questa forma; il motivo per cui venne scelta questa forma è ignoto, forse ricordava la forma del Parmigiano Reggiano o, più semplicemente, fu un desiderio di distinzione dei proprietari.

In realtà in passato presentava il colonnato esterno, tipico dei caseifici del parmigiano, ma, successivamente, venne ampliato e il colonnato divenne il muro perimetrale dell’edificio; negli anni ’60 è stato aggiunto l’edificio sulla destra, dove si trovano la camera del latte e il locale della salamoia.

Il latte, elemento principale nella produzione del Parmigiano Reggiano

Entrando nel ex caseificio la visita del museo si svolge in senso orario; la prima parte ospita una collezione di secchi e contenitori per il latte, con cui gli allevatori facevano pervenire il latte ai caseifici.

Prima dell’avvento dei veicoli a motore, il latte veniva portato nei caseifici dentro grandi secchi che avevano tutti la stessa dimensione e misura; i secchi, in seguito, vennero sostituiti dai bidoni per essere trasportati con i furgoni, in questo modo si poterono aumentare le distanze percorse, aumentando così la produzione di parmigiano.

E’ davvero affascinante sentire i racconti e immaginarsi alcuni momenti della vita di fine ‘800 e del ‘900.

Quando il latte giungeva al caseificio si immergeva un’asta graduata nella secchia (che conteneva 21,35 litri di latte) per controllare la misura e si cercava di capire se il latte non fosse stato allungato con l’acqua; in seguito, si adottò la bilancia per misurare il latte, metodo più preciso per verificare che il latte non fosse allungato.

Una cosa che ha colpito la nostra curiosità è il Libro del Latte, una sorta di registro in duplice copia, una per il fattore e una per il caseificio, dove veniva segnato tutto il latte che veniva consegnato e, su questa base, veniva calcolato il pagamento in soldi o in forme di Parmigiano Reggiano.

Oggi non si misura solamente la quantità, ma anche la qualità del latte, questo fa si che gli allevatori siano incentivati a produrre un latte migliore, poiché maggiore è la qualità del latte e più vengono pagati.

Le mucche vengono munte due volte al giorno: al mattino e alla sera e, di conseguenza, anche le consegne avvengono due volte al giorno.

Il latte del mattino e della sera sono differenti: quello della sera è più grasso poiché gli animali trascorrono la giornata a mangiare, mentre di notte riposano.

Il latte deve essere scremato, poiché nel formaggio non deve essere presente troppo grasso altrimenti diventa rancido; ne serve solo la giusta quantità affinché il formaggio mantenga la dolcezza e sia protetto da una eccessiva evaporazione.

In passato il latte veniva versato in bacinelle e lasciato riposare per tutta la notte, il grasso, che è più leggero, sale in superficie portando con sé i batteri anticaseari; al mattino il casaro sgrassava il latte rimuovendo la panna dalla superficie.

Ora si utilizza ancora la stessa tecnica per far affiorare la panna, ma si utilizzano grandi vasche e, anziché rimuovere la panna dall’alto, si fa fuoriuscire il latte dal fondo, lasciando solamente la panna.

La figura del casaro nella produzione del Parmigiano Reggiano

In ogni caseificio era, ed è, presente un solo casaro; il casaro è una figura centrale e fondamentale, poiché ha la responsabilità di controllare tutto il processo di produzione del Parmigiano Reggiano.

Una cosa che ci ha stupito è che, ancora oggi, non esiste una scuola per diventare casaro per il Parmigiano Reggiano, ma è una professione che viene tramandata da una generazione all’altra.

Se in un caseificio sono presenti più di una caldera, queste non vengono accese tutte insieme, ma a 20 minuti una dall’altra; in questo modo il casaro può controllare e supervisionare tutti i passaggi fondamentali di ogni caldera, senza trascurare nulla.

Nel museo è presente anche una iconografia di San Lucio di Cavargna che è il protettore dei casari, oltre che delle mandrie, dei pastori e dei poveri.

San Lucio era un pastore e un casaro e aveva l’abitudine di donare il suo formaggio ai poveri, ma il suo formaggio non si esauriva mai e quindi venne sospettato di rubarlo; il 12 luglio venne ucciso vicino a un laghetto e si narra che le sue acque, tutti gli anni, diventino rosse come il sangue.

La figura e la storia di San Lucio sono state portate in Emilia-Romagna dai ramaioli che, durante l’inverno, scendevano in pianura dalle valli innevati e si recavano nei caseifici per aggiustare le caldere usurate; così si diffuse la devozione per San Lucio.

Museo del Parmigiano Reggiano

La produzione del Parmigiano Reggiano

Il latte, una volta giunto al caseificio, viene controllato e scremato; a questo punto è pronto per essere trasformato in una forma di Parmigiano Reggiano.

Il latte viene versato nelle caldere di rame e viene riscaldato fino a raggiungere una temperatura di che va dai 30° ai 36°.

Una curiosità: in realtà non si usano i gradi Celsius ma i Réamur, una tradizione che risale al periodo Napoleonico.

Alcuni casari, soprattutto la vecchia generazione, hanno l’abitudine di non utilizzare il termometro per misurare la temperatura, ma immergono il gomito nel latte e la loro precisione è sorprendente.

Un tempo le caldere venivano riscaldate con il fuoco, oggi invece vi è una intercapedine nella caldera stessa dove viene inserito il vapore caldo.

In seguito, si aggiunge il caglio di origine animale, che proviene dallo stomaco dei vitelli lattanti; il caglio serve per far coagulare le caseine, le proteine del latte.

Si ottiene così la cagliata, questo è un passaggio molto importante e il casaro deve controllare che la cagliata non sia troppo dura o troppo lassa, altrimenti non si riuscirebbe a produrre il Parmigiano Reggiano.

A questo punto la cagliata deve essere tagliata e, per fare questo procedimento, si utilizza un attrezzo chiamato spino, si chiama così perché in passato si utilizzava un ramo di biancospino; negli anni ha assunto forme differenti alla ricerca della forgia più efficace.

Lo spino viene immerso al centro della caldera, viene spinto fino sul fondo e poi viene estratto di lato, si inizia con un movimento lento che poi diventa sempre più veloce; bisogna assolutamente evitare che alcune parti di cagliata giacciano sul fondo della caldera, inoltre la cagliata deve essere ridotta in pezzi sempre più piccoli, così da spurgare più siero possibile.

Quando i pezzi di cagliata sono grandi come chicchi di riso il casaro alza il fuoco per cuocere la cagliata, a una temperatura tra i 50° e i 55°.

Quando la cagliata è cotta il fuoco viene spento e i chicchi di cagliata si depositano sul fondo della caldera, mentre il siero resta in superficie; in questo modo avviene una prima pressatura naturale della cagliata.

Tutti questi passaggi vengono svolti ancora a mano, fa eccezione l’utilizzo di una mescolatrice per il latte in cottura.

Successivamente il casaro, utilizzando una pala, solleva la cagliata sul fondo della caldera e la mette in un telo di lino e la lascia ammollo nel siero caldo.

I batteri termofili, che si attivano a 50°, mangiano il lattosio contenuto nella cagliata; quindi, più la cagliata viene lasciata nel siero e più il lattosio viene mangiato dai batteri.

È per questo motivo che il Parmigiano Reggiano non ha lattosio, già ancora prima di terminare la sua stagionatura.

In seguito, il casaro estrae il fagotto dal siero e lo inserisce in una fascera di legno; la fascera ha una duplice funzione: iniziare a dare la forma al formaggio e far fuoriuscire l’acqua in eccesso, per far questo viene posizionato un peso di 10 kg sopra la cagliata.

Dopo 2 giorni, la fascera viene cambiata con una metallica che, al suo interno, ha un’altra fascera marchiante; in questo modo sulla futura forma di Parmigiano Reggiano resteranno impresse le scritte Parmigiano Reggiano, il mese e l’anno di produzione e il codice del caseificio, inoltre viene aggiunta una placca di caseina con un codice alfanumerico unico che identifica la singola forma di parmigiano e che consente, al Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, di tracciarla.

Dopo aver trascorso 3 giorni nelle fascere le forme vengono portate nella sala della salatura, o salamoia, dove resteranno dai 14 ai 21 giorni; qui vengono immerse in un’acqua satura di sale e vengono girate quotidianamente.

Per osmosi in sale chiama l’acqua, in questo modo le forme perdono l’acqua in eccesso; inoltre, nella forma entra il sale e fa si che si inizi a formare la crosta, il sale raggiungerà il centro della forma solamente dopo 6 o 7 mesi di stagionatura.

Quando le forme vengono estratte dall’acqua salata, vengono appoggiate su scaffali di legno; qui inizia la stagionatura.

Il Burro e la Ricotta

La panna e il siero sono due scarti di produzione del Parmigiano Reggiano, ma non vengono buttati; la saggezza contadina ha studiato come riciclare questi due prodotti.

La panna viene utilizzata per fare il burro, in passato si utilizzavano la zangola o altri strumenti rudimentali. Oggi solo i caseifici più piccoli producono ancora il burro con la propria panna.

Nel museo sono esposti alcuni di questi strumenti come, ad esempio, una zangola a botte; questa è azionata meccanicamente e, girando, fa si che il grasso si accumuli sulle pareti.

Un tempo il burro era molto prezioso per un caseificio, poteva essere venduto al doppio del prezzo del parmigiano; quindi, per far si che nessuno potesse rubare un pezzetto di burro, questo veniva inserito in stampini di legno che marcavano la sua superficie con elementi geometrici o disegni.

Ora solo i caseifici più piccoli producono ancora il burro in proprio, quelli più grandi vendono la panna ad aziende che producono il burro.

Il siero può essere utilizzato in due modi: per produrre la ricotta o come alimento per i maiali.

Per ottenere la ricotta il siero deve essere cotto nuovamente, questa volta a una temperatura dagli 80° ai 90°; questo spiega anche il nome di questo formaggio fresco.

In passato era consuetudine per un caseificio produrre anche la ricotta, oggi lo fanno solamente i caseifici più piccoli oppure in occasioni speciali, come la festa di San Giovanni tra il 23 e il 24 giugno.

Il siero veniva dato ai maiali, così, in passato, i caseifici potevano contare su una seconda fonte di revenue a costo zero. Oggi il siero viene prelevato e portato negli allevamenti di maiali che verranno utilizzati per produrre il Prosciutto Crudo di Parma.

Museo del Parmigiano Reggiano

La stagionatura del Parmigiano Reggiano

La stagionatura del Parmigiano Reggiano avviene rigorosamente su scaffali di legno, dove resta per almeno 12 mesi; se il formaggio viene venduto prima di 12 mesi non può essere chiamato Parmigiano Reggiano.

Ogni singola forma di parmigiano deve essere sottoposta alla Espertizzazione, cioè viene controllata prima di poter essere considerata Parmigiano Reggiano ed essere venduta.

Esiste un ente esterno al Consorzio del Parmigiano Reggiano che effettua questi controlli. Vengono inviati due esperti nei caseifici ogni 3 mesi e costoro controllano tutte le forme che hanno una stagionatura che fa dagli 11 ai 13 mesi.

Inoltre, ogni 1000 forme che vengono battute, una deve essere aperta per un esame sensoriale.

Ogni forma viene posizionata e viene effettuato un controllo visivo, successivamente, con un martelletto, viene ascoltato il suono.

In base a quello che i due esperti rilevano le forme di Parmigiano Reggiano possono essere dichiarate:
  • Scelto: nessun difetto, quindi viene dichiarato Parmigiano Reggiano Prima Scelta e marchiato a fuoco;
  • Sperlato: nessun difetto, quindi dichiarato come Parmigiano Reggiano Prima Scelta e marchiato a fuoco;
  • Zero: piccoli difetti, come piccole screpolature, dichiarato come Parmigiano Reggiano Seconda Scelta e vengono incise alcune righe orizzontali sulla crosta;
  • Uno: piccoli difetti come anomalie nella struttura, ad esempio la presenza di cavità, dichiarato come Parmigiano Reggiano Seconda Scelta e vengono incise alcune righe orizzontali sulla crosta;
  • Scarto e Scartone: la forma non ha superato l’esame quindi la crosta viene sbiancata, cioè vengono rimosse le scritte, questo significa che non può essere chiamato Parmigiano Reggiano, anche se può essere mangiato o grattugiato.

I caseifici possono anche richiedere ulteriori Espertizzazioni facoltative, come ad esempio: Export, 18 mesi di stagionatura e Scelto o Sperlato; Premium, 24 mesi di stagionatura e Scelto o Sperlato, inoltre deve essere effettuato un esame organolettico.

Il minimo di stagionatura è 12 mesi e non esiste un massimo anche se in commercio solitamente si trovano stagionature che vanno dai 12 ai 36 mesi.

Ogni anno ha 3 lotti di produzione: primo lotto da gennaio ad aprile; secondo lotto da maggio a agosto; terzo lotto da settembre a dicembre.

Museo del Parmigiano Reggiano

La storia e la zona di produzione del Parmigiano Reggiano

Nel Museo del Parmigiano Reggiano ci sono due sezioni che narrano la storia del parmigiano e la zona di produzione; questi temi sono stati trattati nell’articolo dedicato al Parmigiano Reggiano DOP.

Le contraffazioni del Parmigiano Reggiano

Il Parmigiano Reggiano è uno dei prodotti alimentari più contraffatti al mondo, in una parte del museo è presente la Bacheca degli Orrori, che raccoglie alcuni esempi più eclatanti; ma viaggiando un po’ anche noi abbiamo trovato in giro per il mondo tanti “falsi”.

Quando la nostra visita si conclude usciamo in cortile ed entriamo nell’edificio antistante; qui ci aspetta una degustazione verticale di Parmigiano Reggiano: 12, 24 e 36 mesi.

Abbiamo assaggiato tre ottime stagionature di Parmigiano Reggiano ed è stato molto interessante e istruttivo anche scoprire come effettuare nel modo più corretto la degustazione.

Per approfondire la conoscenza di questa eccellenza italiana visitate il sito del Consorzio del Parmigiano Reggiano.

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