Un viaggio lascia sempre qualcosa dietro di sé: un colore, un profumo, un sorriso, a volte solo una sensazione difficile da descrivere.

Alcuni viaggi più che altri hanno il potere di scardinare le nostre convinzioni e i nostri pregiudizi, regalandoci un modo nuovo di vedere il mondo, una prospettiva differente che stravolge completamente il nostro modo di pensare.

E così, per rispondere alla domanda di @momondo in merito a quale viaggio ha cambiato in meglio il mio mondo, ho dovuto scandagliare nella memoria dei miei viaggi per cercare quel momento e quell’episodio.

A dire la verità, più che una singola esperienza o un singolo viaggio, sono stati una serie di episodi, accaduti in differenti viaggi, a cambiare il mio modo di vedere e interpretare le cose.

Uno di questi episodi è accaduto in Benin.

Stavamo viaggiando lungo la strada principale che collega in paese da nord a sud, ci siamo fermati perché a bordo strada c’erano alcune bancarelle dove vendevano le arachidi tostate in bottiglie di vetro che arrivavano da chissà dove.

Appena scesi dall’auto molti bambini ci sono corsi intorno felici di vedere due estranei, quando si sono avvicinati ho scattato loro alcune fotografie con il mio telefono per poi mostrarle ai protagonisti della foto; mi sono resa subito conto che questi bambini non si riconoscevano nelle fotografie ma era gli amici di turno che dicevano loro “quello sei tu”.

E’ stato un momento incredibile in realtà guardandomi attorno e osservando le capanne in cui vivevano quei bambini ho realizzato che evidentemente non avevano mai avuto l’occasione di vedere la loro immagine riflessa in uno specchio o di esser ritratti in una fotografia prima di quel momento.

Questo mi ha fatto riflettere su come un gesto o un oggetto per noi banale e scontato in altre zone del mondo è sconosciuto, o quantomeno raro, e vedere la propria immagine riflessa possa essere un evento quasi unico e incredibile.

Un altro episodio si è verificato sempre in Africa, ma questa volta in Togo.

Stavamo visitando un villaggio Dagomba, mentre giriamo per le capanne e scattiamo fotografie, ci avviciniamo ad un signore sdraiato a terra con una gamba fasciata perché era caduto in moto.

Lui ci saluta e ci da il benvenuto nel suo villaggio e noi ci avviciniamo per ricambiare il suo saluto, a quel punto gli chiediamo cosa fosse successo e, quando mi racconta dell’incidente, gli rispondiamo che anche Silvan era caduta in motorino qualche mese prima.

Lui lo guarda a metà tra lo stupito e l’incredulo poiché evidentemente era guarito perfettamente e gli domanda “Ma che erbe hai usato per guarire?”

Siamo rimasti un po’ senza parole, non sapevamo come dirgli che aveva preso medicinali chimici e che aveva fatto dei trattamenti al laser, una realtà troppo lontana dal suo quotidiano e cose che qui nel suo mondo non esistono… al che gli abbiamo risposto un po’ sommessamente un generico “medicine europee”, in realtà le avevamo con noi nelle valigie ma ci è venuto il dubbio che, non essendo abituato, magari avrebbero potuto fargli più male che bene, altrimenti gliele avremmo lasciate volentieri.

Infine un altro episodio è successo chiacchierando con un amico in Tanzania.

Una volta parlando con un amico in Tanzania scherzando sulla quantità di cibo che riusciva a mangiare ogni qualvolta uscivamo a pranzo lui ci ha detto “noi in Africa mangiamo per riempirci la pancia”.

Un atteggiamento per noi ormai lontano nel tempo, da noi si mangia per il gusto di farlo, per scoprire nuovi sapori o nuovi abbinamenti, anche l’estetica è un fattore importante nel cibo e la corsa a sperimentare nuovi locali, nuovi chef o nuovi piatti frutto di operazioni di marketing sono all’ordine del giorno.

Parlando con lui invece ci ha fatto riflettere su una cosa molto semplice: il cibo è nutrimento e mangiare dovrebbe rispondere in primis proprio all’obiettivo di nutrire il nostro organismo.

Quello che però ci colpisce sempre, soprattutto nei paesi definiti del “terzo mondo”, è la felicità che le persone provano per le piccole cose, una caramella, una biro, una fotografia o solamente una stretta di mano; gesti semplici che noi ignoriamo.

Le persone “povere” non sono quelle che non hanno soldi o che vivono in luoghi più arretrati, forse sono meno fortunati economicamente, ma i veri “poveri” sono quelli che non provano più emozioni e non gioiscono delle piccole cose belle della vita; i popoli “del terzo mondo” sono ricchi emotivamente, si emozionano per una visita inattesa o per un sorriso e riescono a trovare la felicità in ogni gesto.

Non resta che prenotare un volo con Momondo e scoprire cosa ci riserva questo fantastico mondo!!!

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