Uno dei nostri sogni era di andare nel Borneo e, come prima esperienza, abbiamo scelto la parte meridionale del Borneo Malese.

Siamo atterrati a Kuching, che è la base da cui partire per visitare diversi parchi naturali e per addentrarsi nel Borneo; il giorno seguente siamo partiti in auto con la nostra guida, diretti a Batang Ai National Park.

Nonostante siamo venuti nella stagione “secca” (durante la nostra estate), qui non si può propriamente parlare di clima secco, infatti siamo in una zona equatoriale ricoperta di foresta, il clima è sempre umido e piove spesso; la pioggia ci accompagna per quasi tutto il viaggio di andata.

Lungo il percorso ci siamo fermati a visitare un mercato locale, poco lontano da Kuching e ci siamo fermati a pranzo in un posto a bordo strada dove abbiamo mangiato noodle e il bun più buono della nostra vita, e pensare che, a una prima occhiata, questo posto non ci ispirava molto.

Abbiamo approfittato della sosta per comprare biscotti, arachidi e altri generi alimentari, la nostra guida ci dice che ci serviranno l’indomani quando andremo in un villaggio Iban, preferiscono doni alimentari rispetto ai soldi.

Proseguiamo il nostro viaggio finchè la strada non diventa sterrata e, poco dopo, non finisce direttamente in un lago.

Scarichiamo le valigie e aspettiamo pazienti, ci sono altri turisti che, come noi, stanno aspettando che il barchino ci venga a prendere.

Questo non è un lago naturale, ma si è formato in seguito alla costruzione di un diga poco più a valle, lo si capisce, tra le altre cose, dai tronchi di albero morti mezzi sommersi dall’acqua, sono un po’ spettrali ma molto scenografici.

La terra è gialla e argillosa, le pendici delle colline ricoperte da vegetazione lussureggiante di un verde acceso e l’acqua del lago è azzurra intensa, un bel contrasto cromatico, soprattutto nelle giornate di sole.

L’attraversata del lago dura poco più di mezz’ora, scambiamo due chiacchiere con gli altri passeggeri anche loro italiani; nei giorni seguenti avremo modo di condividere con loro qualche esperienza e di creare un legame di amicizia.

Arriviamo all’Hilton Batang Ai, una delle poche possibilità di alloggio in questa zona (forse l’unica), è stato costruito in legno e le stanze sono state ricavate all’interno di long house nello stile degli Iban; infatti c’è uno spazio comune coperto nella zona antistante gli ingressi alle camere, ci sono tappeti, sedie e sdraio dove ci si può rilassare e godere dell’atmosfera.

Il meteo è cambiato, le nuvole sono scomparse ed è uscito il sole che ci regala un tramonto scenografico sul lago, chi l’avrebbe mai detto dopo tutta la pioggia di questa mattina; siamo affascinati e ovviamente scattiamo tante fotografie.

Il mattino seguente partiamo dal molo dell’hotel con un barchino a motori più piccolo di quello con cui siamo arrivati, ci sono solo tre posti: per noi due e per la nostra guida.

Partiamo e risaliamo il fiume che alimenta il lago, non c’è nessuno tranne noi e, a parte il rumore del nostro motore, non si sente nulla; spegniamo 3 o 4 volte il motore e l’unico rumore che si sente sono i versi degli uccelli in lontananza, è incredibile come, vivendo nelle nostre città, non ci rendiamo conto del rumore di sottofondo a cui siamo costantemente esposti, se ne prende coscienza solo quando ci si trova in posti come questo.

Risalendo il fiume incontriamo qualche barca di qualche pescatore, intorno a noi vediamo foresta e qualche coltivazione degli Iban; un po’ mi da fastidio sapere che hanno tagliato la foresta per coltivare, ma è nulla rispetto a quello che hanno fatto qui nel Borneo per l’olio di palma.

Arriviamo a un piccolo molo galleggiante, leghiamo la nostra barca e scendiamo a terra, saliamo lungo un breve sentiero e arriviamo a una longhouse e in capo ci invita ad entrare.

La longhouse è la tipica abitazione del popolo Iban, una popolazione molto legata alla tradizione, ai costumi dei loro antenati; un popolo semplice molto accogliente, pacifico e ospitale, soprattutto con chi, come noi, ha voglia di conoscerli e scoprire le loro usanze.

Fino a 2 secoli fa gli Iban erano noti per il loro coraggio ed erano conosciuti come i cacciatori di teste; anticamente infatti ritenevano che l’anima si risiedesse nel cranio, quindi tagliare le teste dei nemici serviva per impadronirsi delle loro anime e della loro “essenza vitale” e portarla al villaggio permetteva alla comunità di garantirsi il successo per un buon raccolto, per una terra fertile o solamente per dimostrare il coraggio di un guerriero.

Le teste poste ad “essicare” erano un modo per ricordare una vittoria ed erano un segno d’onore per la tribù, i cacciatori di teste che tornavano al villaggio con il macabro feticcio, venivano premiati con tatuaggi tribali a simboleggiare il coraggio del guerriero.

Oggi questa popolazione, che in passato era chiamata Sea Dayak per il loro passato di pirati e pescatori e cacciatori di teste, oggi segue e rispetta le usanze e la tradizione; non sono più cacciatori, anche se capita ancora di vedere qualcuno cimentarsi nella caccia a grossi animali nella giungla, ma sono diventati soprattutto un popolo di agricoltori che si dedica alla coltivazione di pepe, caucciù e cocco.

E’ possibile trovare gli Iban in Sarawak, Brunei, e nella regione di West Kalimantan in Indonesia.

Entrando nelle loro tipiche abitazioni, le longhouse, siamo stati accolti dalle donne della casa a cui abbiamo dato i nostri doni e quindi abbiamo assistito alla cerimonia chiamata miring che consiste nel condivisione il cibo, le donne si sono sedute in cerchio e si sono divise tutti i doni portati da noi e da altri visitatori.

Successivamente abbiamo assistito a delle danze rituali realizzate soprattutto per propiziarsi i favori delle divinità o per ringraziarle per qualcosa; abbiamo notato che sia uomini che donne avevano dei tatuaggi tribali, ci hanno spiegato che se li fanno come talismani per proteggersi dalle malvagità.

Il capo della longhouse, una sorta di sindaco o capo villaggio, ci ha invitato successivamente a pranzo nella sua cosa: hanno cucinato molti piatti: diverse verdure, pollo e un piatto con gamberetti, peperoncino e ananas che era buonissimo; abbiamo poi scoperto che era stata la nostra guida a cucinarlo e quindi gli abbiamo chiesto la ricetta con l’idea di provare a cucinarlo una volta a casa.

Ci hanno anche offerto un vino di riso dal sapore molto forte e intenso, io non sono riuscita a berlo perché più che un vino sembrava una grappa.

Gli Iban cacciavano con la cerbottana, il sumpitan, che può essere lunga fino a tre metri e colpire un bersaglio a 50 metri; originariamente le frecce avevano la punta avvelenata grazie ad un veleno estratto dalla resina di alcune piante.

La cerbottana viene utilizzata ancora utilizzata e ci fanno provare ad usarla utilizzando un tiro a segno; contrariamente a quanto ci aspettavamo, non è così difficile da usare, basta fare prendere bene la mira, fare un bel respiro e soffiare molto forte.

Terminata la visita scendiamo al molo, riprendiamo il nostro barchino e ci facciamo portare dalla corrente fino al molo del nostro hotel.

La visita di questo angolo di foresta ci è piaciuta molto, è stata un’esperienza molto interessante e che ci ha fatto riflettere su come queste persone riescano a vivere con così poco e con solo quello che la natura gli dona, al contrario invece di come viviamo noi nelle nostre città.

Siamo tornati a casa con splendidi ricordi, tante fotografie, nuovi amici e una ricetta che, ogni volta che la cuciniamo ripensiamo con nostalgia a quella giornata.

Nota: Il clima è caldo e umido durante tutto l’anno, il periodo migliore rimangono i mesi di luglio e agosto che nel Borneo sono relativamente secchi.

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